IL CORPO FRAGILE. LA PSICOLOGIA COME TERAPIA DEI SISTEMI COMPLESSI


La Classificazione Internazionale del Funzionamento e delle Disabilità, enfatizza l’importanza di concentrarsi non solo sul deficit, ma anche sulle risorse funzionali di tutte le persone affette da qualche patologia, proprio nell’ottica di una maggiore apertura verso le risorse, anche psichiche, che l’individuo può mettere in gioco per ottenere il miglior adattamento possibile lungo il percorso riabilitativo. In tal senso è necessario focalizzarsi su un elemento trasversale alle varie discipline cioè l’aspetto psicologico. Possiamo infatti affermare che la psicologia si configura come una “terapia” necessaria per un sistema complesso come quello legato alla riabilitazione. L’idea che si vuole perseguire è che vi siano dinamiche umane ricorrenti e ben definibili alle quali fare riferimento per migliorare la qualità della vita del paziente da un lato e per migliorare la compliance terapeutica dall’altro.

Troppo spesso, però, vengono dati per scontati molti aspetti mentali che invece la psicologia generale ha proposto come fondamentali nella percezione (in questo caso del percorso sanitario). La percezione è una catena di eventi psichici che partendo dal dato sensoriale, genera forme di comprensione dotate di significato. Questo significato ha quindi una connotazione prevalentemente soggettiva poiché influenzato da esperienze precedenti, da emozioni e da vissuti diversi da individuo a individuo.

Sono esempi di abilità in gioco le funzioni mentali specifiche come quelle dell’attenzione, della memoria, psicomotorie, percettive, del pensiero, cognitive di livello superiore, del linguaggio, di sequenza dei movimenti complessi. Per non parlare dell’importanza capitale delle funzioni legate alla sfera emotiva che determinano buona parte dei nostri ricordi, della nostra attenzione e possono portare ad atteggiamenti e comportamenti pro o contro la riabilitazione.

Se si parla di riabilitazione è possibile accostarsi anche al concetto di elaborazione del lutto (Kübler-Ross,1976) per qualche aspetto fisico che viene perso (per sempre o momentaneamente). Questo aspetto teorico ci permette di entrare ancora di più nella comprensione delle dinamiche presenti, cogliendo particolari che devono essere presi in considerazione nel riabilitare una persona. Stiamo parlando della corretta valutazione dei bisogni del soggetto, delle emozioni, delle difficoltà relazionali ma soprattutto un’attenta analisi delle sue aspettative. Ciò che il paziente pensa e spera di raggiungere o di recuperare diventa un importante punto di snodo per chiarire quale obiettivo si pone e se questo è in linea con la realtà oggettiva delle possibilità mediche. Se il target è quello di fornire al paziente il miglior adattamento alla sopravvenuta problematica, dobbiamo considerare come prevalenti proprio queste motivazioni al trattamento: un obiettivo troppo livellato verso il basso demotiverà il paziente e lo renderà non empowered rispetto alla sua difficoltà, viceversa un obiettivo troppo elevato porterà a frustrazioni che chiuderanno eventuali prospettive di crescita e di ritorno alla vita. In entrambi i casi potremmo incorrere in stati disforici dell’umore, a disturbi della sfera ansiosa, ad importanti somatizzazioni. Non dimenticandoci che molto spesso la patologia fisica porta con sé un vantaggio primario ed uno secondario (quest’ultimo può indurre una persona a rimanere legato alla propria malattia per vantaggi indiretti come la piacevolezza di un accudimento da parte del personale medico) che allungano i tempi di recupero e di conseguenza i costi a carico della collettività.

Si dovrà andare quindi nella direzione di una riabilitazione via via più attenta agli aspetti psicologici ed entrare nell’ottica di un tailoring riabilitativo cucito, per quanto possibile in base alle risorse stanziate, su misura per ogni singolo paziente, partendo proprio dagli aspetti che stiamo esaminando e che sono sempre riscontrabili ad ogni livello di cura.

Questo tailoring parte dall’interazione di tutte le figure in gioco (medici, infermieri, fisioterapisti ecc.) e delle loro rispettive professionalità, con un filo rosso, un comun denominatore trasversale che è l’aspetto psicologico sia della persona che dell’equipe che prende in carico l’individuo.



Focalizzandoci sulla persona potremmo stabilire abbastanza facilmente gli obiettivi potenziali che devono essere al centro dell’intervento psicologico:

  • Assistere il paziente nella gestione dei rapporti con le altre figure sanitarie. Molto spesso allo psicologo è richiesto di essere il trait d'union tra le figure professionali impegnate nella riabilitazione e sempre più oberate dai ritmi serrati e dagli aspetti burocratici. Il paziente sperimenta cosi una vicinanza maggiore dell’equipe e un minor smarrimento tra diverse sensibilità cliniche

  • Garantire un supporto emozionale. Questa è senza dubbio l’area di azione privilegiata dello psicologo che dovrebbe favorire una adeguata elaborazione del vissuto individuale rispetto la malattia e il percorso riabilitativo. In presenza di emozioni negative, fortemente correlate all’insorgere di stati disforici dell’umore, sarà necessario promuovere un nuovo punto di vista affettivamente evolutivo

  • Promuovere un aumento dell'autoconsapevolezza. Si deve promuovere una consapevolezza dei nuovi limiti imposti dalla malattia e allo stesso tempo delineare i confini delle nuove capacità, nell’ottica di aumentare le capacità di problem solving. Molto spesso infatti il paziente non si concentra sulle risorse residue ma sui deficit acquisiti. L’inversione di questa tendenza porta all’uscita dalla fase di depressione e indirizza verso la fase dell’accettazione.

  • Favorire l'accettazione della nuova immagine corporea. Il nostro scherma corporeo potrebbe essere messo a dura prova dalla malattia e rivisto anche più volte nel corso di una riabilitazione, specialmente se parliamo di interventi in campo alimentare. L’accettazione della nuova immagine corporea porta a nuovi vissuti di carattere emozionale che devono essere integrati nella personalità.

  • Gestire l'ansia riguardo al futuro, sociale e professionale. Un limite fisico o una malattia vengono interpretate erroneamente come la fine dei rapporti sociali e professionali. “Ormai non riuscirò a fare più niente” è la frase più ricorrente che riporta ad un’ansia legata ad aspetti pragmatici (lavoro, soldi, gestione della quotidianità) e di paura per i progetti futuri che sono rivisti sempre al ribasso in chiave pessimistica. Ancora una volta valorizzare le risorse a discapito dei limiti può essere un’ottima via per ridare un senso di apertura e di ridefinizione delle giornate, delle attività precedentemente svolte, dei valori, degli affetti.

  • Elaborare eventuali modificazioni nei rapporti con amici e familiari (in particolar modo i caregivers). Sostenere la rete ed i caregivers. La rete di sostegno ed i familiari (caregivers in particolare) risentono direttamente della fatica legata all’accudimento della persona malata. Sia per la gravosità delle terapie, sia per gli aspetti emotivi e comportamentali del soggetto in cura. Non solo: la stessa rete sociale influenza il recupero in termini positivi o negativi a seconda delle proprie aspettative e delle proiezioni future sul grado di recupero possibile del loro caro. Questi aspetti devono essere sottolineati ed eventualmente riportati ad un senso di realtà perché rischiano di essere determinanti nella gestione del paziente e dell’intero sistema che lo avrà “in carico” una volta uscito dal percorso di cura ( e dovrà sostenerlo nel cammino giorno per giorno)

  • Promuovere l’autoefficacia. In una parola si potrebbe riassumere che promuovendo l’autoefficacia si includono buona parte degli obiettivi generali di un approccio psicologico in riabilitazione. Possiamo definire l’autoefficacia come le convinzioni riguardo alla propria efficacia personale che costituiscono uno degli aspetti principali della conoscenza di sé. Bandura (2000) identifica quattro fonti di informazioni principali per la costruzione dell'efficacia: 1) le esperienze comportamentali dirette di gestione efficace, che hanno la funzione di indicatori di capacità: “sono stato bravo, sono capace”. 2) Le esperienze vicarie e di modellamento, che alterano le convinzioni di efficacia attraverso la trasmissione di competenze e il confronto con le prestazioni ottenute dalle altre persone: “sono riuscito a fare le scale, sono più vicino alla guarigione/alla normalità”. 3) La persuasione comunicativa ed altri tipi di influenza sociale, che infondono e costituiscono la possibilità di possedere competenze da sperimentare. 4) Gli stati fisiologici ed affettivi, in base ai quali le persone giudicano la loro forza, vulnerabilità, reattività al non corretto funzionamento. Con più la persona si percepisce come efficace con più aumenterà la sua autostima e la sua voglia di esplorare nuovi confini, di porsi nuovi orizzonti, di seguire le terapie e le prescrizioni.



Inoltre è doveroso a questo punto porre la nostra attenzione sulle variabili psicologiche in gioco che sono comprensive di tutti gli aspetti citati in precedenza e che fanno riferimento a numerosi aspetti della vita psichica:

  • capacità di adattamento dell'individuo

  • capacità di comprensione e di apprendimento

  • sistemi difensivi messi in atto nella situazione patologica

  • comportamenti a rischio nello stile di vita e nella gestione della malattia: molto spesso purtroppo si assiste ad una perdita totale della fiducia e delle aspettative positive durante un cammino di cura, che porta ad assumere atteggiamenti e comportamenti molto spesso dannosi ed “autosabotanti”. Per uscire da questa spirale è importante favorire una visione reale delle difficoltà, orientata a sottolineare i piccoli progressi compiuti, fornendo quindi un clima nuovo al paziente composto di continui piccoli avanzamenti nel suo percorso

  • stili di adattamento del caregiver e della famiglia

  • risorse interne quali coping, autoefficacia, locus of control, self-care

  • risorse esterne (per es. supporto socio-familiare)

  • motivazione alla terapia e al cambiamento

  • eventuali vantaggi secondari del persistere in una condizione di menomazione

  • propensione alla compliance e all’aderenza terapeutica

In un’ottica sistemica dobbiamo considerare anche gli altri attori del sistema riabilitazione, ovvero il personale sanitario. I sanitari influenzano i pazienti e i pazienti influenzano i sanitari. Per dirlo con un detto popolare: “chi il carbone tratta dal carbone è tinto”. La psicologia all’interno di una rete così complessa opera anche a protezione degli operatori, comprendendone le necessità, gli stress e le frustrazioni in un lavoro in cui spesso il rischio di “spegnersi” di “bruciarsi” è molto elevato. Per prevenire la vera e propria sindrome del burnout, si potrebbero discutere alcune aree che possono essere oggetto di attenzione da parte dello psicologo e che sono di sostegno a quanti “di carbone sono tinti”.

Infatti si nota la crescente emersione di problematiche ed esigenze attinenti alla sfera:

  • della soggettività: dove esistono delle aree oscure legate alle motivazioni per continuare il lavoro di cura. La perdita dell’autostima, almeno quella legata alla sfera professionale, innesca una serie di reazioni a catena che risultano difficili da controllare

  • delle relazioni: la perdita di autostima aiuta l’insorgere di comportamenti di isolamento sociale, fino a divenire veri e propri comportamenti antisociali. Specialmente le relazioni più vicine risentono dell’eco del disagio ed isolano il professionista togliendoli la rete sociale di supporto

  • dei comportamenti

  • della comunicazione

  • della gestione dello stress: lo stress aumenta e molto spesso la persona sente di non avere le risorse psichiche per potervi far fronte. Si arriva così alla fase di resistenza all’evento stressante, indirizzandosi verso l’esaurimento completo

Lo psicologo si pone in una posizione privilegiata di vicinanza alla rete degli operatori sanitari, cosa che gli permette di osservare da vicino le dinamiche nocive intra ed inter gruppo e di poter quindi porre le adeguate contromisure agendo sul clima organizzativo generale e sui vissuti di ciascun membro dell’equipe.

Possiamo dunque affermare che per una visione completa di tutto il fenomeno della cura e della riabilitazione, che comprenda pazienti, caregivers, familiari ed operatori è necessario un approccio integrato con focalizzazione sugli aspetti psicologici. Questo per poter comprendere pienamente le dinamiche intra ed inter personali di tutto il sistema complesso in causa. Ignorare questi elementi significa aumentare i costi sociali in termini economici e umani, non ponendo in essere, tra l’altro, una buona riabilitazione.



BIBLIOGRAFIA:


  • Bandura, A. Autoefficacia: teoria e applicazioni. Tr. it. Erikson, Trento, 2000
  • Kübler-Ross E., La morte e il morire, Assisi, Cittadella, 1976

  • Pagnini, F., Molinari, E., Efficacy of relaxation techniques in different clinical situations, Rivista di Psichiatria, 2013 (Giugno): 1-10

  • Solano L., Tra mente e corpo, Raffaello Cortina, Milano, 2013

  • www.anteres.it/psicologia_clinica_riabilitazione.html